L’Internet of Things (IoT) è uno dei settori più dinamici della rivoluzione digitale: specialmente nell’ecosistema industriale, ove un prodotto fisico viene realizzato spesso da un macchinario specializzato. Ma se questo macchinario potesse imparare a svolgere le proprie mansioni sempre meglio, in modo sempre più efficiente? È la promessa dell’Industrial Internet of Things (IIoT) ovvero l’integrazione di sensori intelligenti con le attrezzature di produzione.
Gli analisti di mercato appaiono concordi:
“Sembra che l’Industrial IoT sia dove sta il futuro e nessuna azienda industriale vuole essere lasciata indietro” (Roland Berger 1);
“Le principali attività industriali si stanno spostando sul cloud” (Forrester, 2);
“Il nuovo report indica un mercato della manutenzione predittiva di 11 miliardi di dollari entro il 2022, guidato dalla tecnologia IoT e dai nuovi servizi” (IoT Analytics, 3).
Quando si tratta di mettere in esecuzione la trasformazione digitale nell’industria però le idee non sono così chiare. I dubbi sono solitamente gli stessi per tutti i manager: da dove cominciamo, meglio aggiornare prima i processi interni e poi acquisire le nuove competenze e le tecnologie o viceversa? È più promettente una crescita con investimenti interni “make” o l’acquisizione di soluzioni dall’esterno “buy”? Come scelgo i fornitori? Meglio la certezza di un grande gruppo o il dinamismo di una economica start-up? E mentre si rimanda l’azione i clienti iniziano a chiedere qualcosa e le soluzioni devono essere improvvisate senza coordinamento tra i vari stakeholders e senza una strategia.
Il settore industriale è forte delle sue competenze nel settore merceologico di riferimento: macchine per le lavorazioni dei metalli o del legno, macchine per imballaggi, impianti chimici o alimentari, logistica automatizzata e molti altri. Le tecnologie e il know-how posseduto afferiscono principalmente alle discipline della meccanica, elettrotecnica, elettronica e “informatica di campo”, quella che sta dentro ai dispositivi e agli impianti stessi.
Quando si incomincia a parlare di “informatica distribuita”, basata su connessioni di rete, centri di calcolo in cloud, edge computing, IoT, allora si esce dalla zona di comfort. Temi come la cybersecurity, la gestione della proprietà intellettuale del dato, la convergenza di flussi di dati che provengono da fonti eterogenee trovano le nostre aziende industriali spesso impreparate.
I decision maker sanno bene che la scelta che faranno non può avere incertezze: in azienda di Cloud ce n’è uno solo, come il sistema gestionale, e scegliere quello sbagliato può portare a gravi conseguenze così come la scelta vincente può dare uno slancio di competitività all’azienda mai visto prima. Offrire un prodotto digitale basato su soluzioni proprietarie può essere disastroso per l’azienda se poi sul mercato si affermano architetture aperte di riferimento… si è visto qualcosa in passato nel business degli smartphone, ad esempio.
Ecco quindi la mossa vincente: entrare in un modello di business collaborativo, mettere a fattor comune quelli che sono i problemi di tutti e i vantaggi di nessuno, per risolverli una volta sola per tutti e poi dedicare le proprie risorse ed energie per creare i differenziatori che ci distinguono sul mercato. È il modello dell’ecosistema. Ne esistono già molti nel settore dell’elettronica e dell’informatica consumer: Google Home, Amazon Alexa ad esempio.
Piattaforme aperte, sostenute da big player, che permettono a tutti i partecipanti all’ecosistema di creare i propri dispositivi IoT, applicazioni e servizi, mantenendo la loro indipendenza nel business e proprietà intellettuale. Il consumatore li apprezza e cerca sui vari dispositivi per la casa smart (termostati intelligenti , lampadine col wi-fi, etc.) il bollino “Work with Google Home o Work with Alexa” che indica la compatibilità con l’ecosistema, perché è l’appartenenza e integrazione con l’ecosistema che fornisce un’esperienza di utilizzo allo stato dell’arte e la certezza che l’investimento sarà capitalizzato nel tempo.
E per il mondo industriale? All’inizio del 2018, una cinquantina di aziende leader dell’industria, con una significativa presenza di aziende italiane, hanno dato vita alla prima community industriale per guidare l’evoluzione di un ecosistema aperto per il Cloud e IoT industriale: MindSphere World. Un’associazione internazionale forte in Europa e che si sta espandendo ed estendendo in altri paesi, inclusi gli Stati Uniti d’America e l’Asia per promuovere una soluzione armonizzata in termini sia tecnologici sia di business model e strategia evolutiva, per definire un riferimento nel mondo industriale. La piattaforma di base è la soluzione MindSphere di Siemens, una proposta cloud Platform-As-As-Service (PAAS) ideata e sviluppata esplicitamente per il mondo industriale.
Il concetto di ecosistema e apertura è alla base di MindSphere e questo è ciò che convince il mercato: chiunque può realizzare e commercializzare applicazioni basate su MindSphere, dispositivi industriali compatibili, servizi basati sui dati analizzati. Più o meno come avviene con Android, gli smartphone e le App. MindSphere è disponibile in vari paesi per superare le problematiche legali e governative della conservazione delle informazioni sensibili, utilizza diversi fornitori di soluzioni Information Technology di base (Microsoft, Amazon Web Service, Alibaba) per lasciare libertà di scelta ai partecipanti e ovviare al rischio del “vendor lock-in”. Gli aspetti di connettività, cybersecurity e gestione della proprietà dei dati sono definiti e gestiti dall’ecosistema ed evolvono secondo le indicazioni e richieste della community.
La community, rappresentata dall’associazione MindSphere World, garantisce a chi investe in MindSphere la continuità dell’ecosistema, protezione dell’investimento, riconoscimento sul mercato, e dà voce ai player perché possano guidare l’evoluzione della piattaforma e quindi dell’ecosistema stesso.
In futuro, il lavoro sarà più digitale e automatizzato, e le soluzioni Cloud e IoT convergeranno con strumenti di progettazione e simulazione, per permettere anche chi svolge lavori prettamente tecnici di lavorare da remoto, distante dagli impianti industriali; il cosiddetto Closed-Loop-Manufacturing.
In questo periodo di necessaria ripresa economica e incremento della competitività ci aiuta avere in Italia aziende con forte leadership e che hanno da subito condiviso la scelta di essere attive nella definizione dell’ecosistema di riferimento per il cambiamento digitale dell’industria.
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